Vite rinate... dagli abiti usati

vesti cassonettoAngelo era disperato quando si è rivolto al prete della sua parrocchia perché lo aiutasse a trovare un lavoro: per tutta la vita aveva fatto il muratore, ma ora era disoccupato da due anni e mezzo. In famiglia lavorava solo la moglie, per tre ore al giorno. E c'erano due figli da crescere.
Oggi, nella sua divisa blu, gira per Milano con un collega su un camion e fanno il giro dei cassonetti gialli, quelli dei vestiti usati: prelevano i sacchi di indumenti, li caricano sul camion e li portano alla sede della cooperativa Vesti Solidale.

La Vesti Solidale è una delle sette cooperative sociali che fanno parte della Rete RIUSE: impresa attiva da vent'anni in Lombardia nel mercato del recupero e del ricircolo degli indumenti usati. In pratica, gestiscono la raccolta dei vestiti usati che finiscono nei “cassonetti gialli” - sparsi in molti comuni – che portano il marchio Caritas Ambrosiana. Contrariamente a quello che molte persone credono, “buttando” i vestiti dismessi nei cassonetti gialli, questi non vengono “donati ai poveri”, perché per la legge si tratta di rifiuti e come tali vanno gestiti.

Le cooperative sociali della Rete RIUSE oggi raccolgono indumenti da circa 2mila cassonetti distribuiti sui territori delle diocesi di Milano e Brescia, per un totale di 30 milioni di capi recuperati ogni anno. Tutte le cooperative della Rete RIUSE sono iscritte alla White list dedicata presso la Prefettura competente che raccoglie l'elenco delle imprese certificate come estranee rispetto a reati connessi alla criminalità organizzata ed alle eco-mafie.

 

I rifiuti tessili urbani

 

La Rete RIUSE aderisce al Conau, Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati, ente senza fine di lucro, costituito nel 2006, che opera a livello nazionale per promuovere e razionalizzare il recupero e il riciclaggio di indumenti ed accessori d’abbigliamento usati.

Le aziende e cooperative associate rappresentano tutti gli anelli della filiera, e sono quindi i raccoglitori, intermediari, selezionatori e trasformatori e trattano oltre la metà dei rifiuti tessili urbani (è così che sono classificati i vestiti buttati nei cassonetti gialli) raccolto in Italia.

Queste è la grande differenza tra i vestiti che i cittadini mettono nei cassonetti gialli e quelli che invece portano in centri di raccolta (ad esempio i centri di ascolto Caritas): quelli nei cassonetti su strada – secondo la legge 166/2016 – sono considerati “rifiuto tessile rubano” e come tali devono essere trattati, smaltiti o riciclati. Quelli donati presso la sede di enti caritatevoli invece sono classificati come “dono”, e chi li riceve che adoperarsi per renderlo disponibile ai soggetti bisognosi e certo non farne commercio. La parte che risulta non donabile deve essere invece, anche quella, gestita come rifiuto.

Entro il 2025, secondo le nuove Direttive europee sull’Economia circolare in tutti i Paesi europei dovrà essere effettuata la raccolta differenziata dei rifiuti tessili urbani. Ad oggi in Italia la raccolta viene fatta su libera iniziativa delle singole amministrazioni. Nel 2016, secondo i dati ISPRA (Rapporto Rifiuti Urbani 2017), sono state raccolte complessivamente 133mila tonnellate di frazione tessile, di cui il 56% nel Nord Italia, il 18% nel Centro e il 26% nel Meridione.

Dall’attività delle aziende italiane di selezione e valorizzazione si ottiene mediamente il 68% di prodotti per il riutilizzo, cioè da avviare al mercato dell’abbigliamento usato, circa il 29% di materiale da riciclare, quindi avviare alla trasformazione in pezzame industriale, imbottiture e materiali fonoassorbenti e circa il 3% di rifiuti veri e propri che vanno allo smaltimento.