L'emergenza sociale. La fatica delle comunità di neuropsichiatria per minori

adolescente salute mentaleC'è una fatica crescente nelle comunità di accoglienza e nei servizi educativi in Italia, ormai conclamata: da mesi si denuncia la carenza di educatori e parallelamente il taglio dei fondi pubblici necessari per garantire il servizio. Succede nelle comunità educative per minori, nelle case per mamme e bambini, e in altri servizi di cura.

Ancora più preoccupante è la situazione nelle comunità che accolgono minori e ragazzi con disagio psichico, dove diversi sono i problemi che stanno rendendo complicato il lavoro e il servizio offerto.

Questo succede anche nella nostra comunità di neuropsichiatria Pani e Peschi, gestita dalla cooperativa Filo di Arianna e che ospita una decina di adolescenti con disturbi di salute mentale.

1. La salute mentale dei giovanissimi: arrivano ragazzi in situazioni sempre più gravi

Negli ultimi anni la salute mentale dei giovanissimi è peggiorata: una condizione che è stata resa evidente, e sicuramente in molti casi aggravata, dal contesto sociale e dalle dinamiche imposte dalla pandemia. Ma l'aggravamento della salute mentale dei giovanissimi non è dovuto solo agli ultimi due anni vissuti, viene da più lontano. Già da qualche anno gli operatori sociali e sanitari vedono ragazzini con una salute mentale sempre più compromessa, e nelle comunità di neuropsichiatria il lavoro è sempre più complesso.

«La comunità di neuropsichiatria è un servizio residenziale terapeutico ma anche un luogo di vita e di quotidianità, dove convivono piccoli gruppi di preadolescenti e adolescenti che già normalmente porterebbero con sé espressioni di fragilità, di difficoltà legate alla crescita o al periodo, ma in più manifestano gravi sofferenze e forti disturbi emotivi o comportamentali – racconta Anna Carretta, coordinatrice della comunità di neuropsichiatria per ragazzi Pani e Peschi, gestita da Filo di Arianna, cooperativa del Consorzio Farsi Prossimo. Nella stessa giornata ci capita di trascorrere momenti di routine, come una merenda, i compiti, la stanza da riordinare…, di chiacchiere, di gioco, anche di relax, e poi dopo pochi minuti dobbiamo gestire, magari anche contemporaneamente, la ragazza che si è procurata dei tagli, un altro che afferma di avere pensieri suicidari...»

Ultimamente in comunità riscontrano un aumento dei tentati suicidi. E non si tratta di atti teatrali di richiesta di attenzione, o gesti di autolesionismo, che pure ci sono e sono altra cosa. È una situazione complessa da gestire, anche dal punto di vista pratico.

Francesca, negli ultimi due mesi, ha tentato il suicidio diverse volte, cercando di strangolarsi o soffocarsi. «Succede sempre in momenti inaspettati, magari è stata una giornata con diverse attività fatte insieme, l'abbiamo accompagnata all'attività di volontariato, al centro di aggregazione giovanile, e poi nel tempo breve di un cambio turno e del passaggio di consegne, la si ritrova con un cordino al collo, reperito chissà dove».

Ogni volta, la ragazzina è stata ricoverata in ospedale. «Ma in pediatria, perché minorenne: non in un reparto di neuropsichiatria infantile, per carenza di posti letto, e nemmeno in un reparto di psichiatria per adulti, che invece rischierebbe di essere inappropriato – racconta Carretta. – Di fatto sono stati 4 ricoveri inutili, perché in pediatria non possono lavorare su queste patologie».

«Recentemente, in un solo weekend, abbiamo avuto ricoverati tre ragazzi a seguito di atti di autolesionismo: tagli, uno ha ingurgitato del sapone.

Non raccontiamo queste storie per fare sensazionalismo, ma per spiegare come ragazzini con situazioni sempre più gravi e servizi che gestiscono un tasso tanto alto di instabilità richiederebbero molto più personale, non sostenibile con le attuali rette e meccanismi organizzativi più flessibili, non consentiti dalla normativa di accreditamento.

Per Francesca durante i ricoveri abbiamo garantito operatori a fianco h24, riorganizzando in emergenza i turni del personale della struttura e di altri centri della cooperativa.

Le procedure ospedaliere richiedono la garanzia di presenza di un adulto per tutto il tempo di ricovero di un minore – in pediatria tassativamente – e non sempre possono essere coinvolti i genitori.

Non solo, non essendo in quei giorni il ragazzo presente in comunità, non viene corrisposta la retta da ATS. Quindi il personale dedicato al ricovero resta completamente a carico dell’ente gestore, spesso dovendo fare anche orari prolungati. È un cortocircuito».

 

2. La fatica di reperimento e di tenuta degli educatori e del personale

Recentemente il Terzo Settore lombardo ha denunciato la carenza di educatori e altri professionisti del sociale e del sanitario, sempre più stremati da un lavoro faticoso e poco riconosciuto, anche economicamente. La situazione è ancora più evidente nelle comunità dove ogni giorno si devono gestire situazioni dolorose, angoscianti, con la paura continua che, quella volta, non si riesca ad evitare il peggio.

«Gli educatori, gli operatori della comunità vivono un significativo e costante carico emotivo.
Noi abbiamo regolare supervisione psicologica, ci confrontiamo quotidianamente con i clinici di riferimento, ma gli operatori ora stanno chiedendo un ulteriore supporto psicologico – continua Carretta. – Noi adottiamo tutte le precauzioni possibili, tutte le attenzioni, oltre dotarci come doveroso di protocolli di prevenzione dei rischi e di gestione delle emergenze e fare formazione continua; cerchiamo di supportare i ragazzi nella loro angoscia, lavoriamo anche molto con le famiglie per ottenere collaborazione e proteggere da relazioni disfunzionali, ma le cose succedono nonostante le precauzioni e i progressi che comunque si raggiungono. E allora negli operatori subentra il senso di impotenza, che ha un impatto emotivo fortissimo».

 

3. L’insostenibilità economica dei servizi e la latitanza delle istituzioni

Il terzo tema è quello economico. Il lavoro di cura è di fatto delegato al Terzo Settore, ma a fronte delle sempre crescenti richieste, in termini di numeri e di complessità, e dell’aumento dei costi, le istituzioni non garantiscono un equo riconoscimento delle prestazioni erogate ed un funzionale adeguamento del sistema normativo.

Le strutture socio-sanitarie sono ancora regolate da una delibera regionale del 1998, integrata per le strutture residenziali di neuropsichiatria da una successiva delibera del 2014 che già in partenza esprimeva delle contraddizioni (ad esempio, prevede maggior tempo dedicato ai casi complessi, oltre 6 ore in più, da coprire con un supplemento della retta di soli 46 euro).

Inoltre la normativa relativa ai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza definiti dal Ministero della Salute) del 2017 ha stabilito in dettaglio le funzioni di un sistema di cura residenziale terapeutico e ha definito che i relativi costi sono a carico del Sistema Sanitario Nazionale.

A fronte di ciò alcune amministrazioni locali hanno scelto di non contribuire ai costi sociali di un collocamento in comunità terapeutica, ma da parte di Regione Lombardia non vi è stato nessun adeguamento economico compensativo.

Solo l’anno scorso è stato deliberato un incremento delle rette del 3,7% generalizzato per tutti i servizi accreditati con il Sistema Sanitario Regionale, che evidentemente ancora non è commisurato ai maggiori costi sostenuti nel tempo ed attualmente e che in particolare per le strutture che gestiscono il disagio psichico dei più giovani non permette la sostenibilità.

«Consideriamo tutte le spese che un normale ragazzo ha, dall'abbigliamento, ai libri e tasse di scuola, alle iscrizioni ai corsi per il tempo libero o per le proprie passioni, il parrucchiere, i mezzi per spostarsi… quelle cose che servono per garantire ai ragazzi degli aspetti di normalità e gli stessi diritti dei loro coetanei.

Tutto questo noi continuiamo a garantirlo, anche quando le famiglie non possono contribuire o gli entri locali negano la compartecipazione, perché per noi accogliere un adolescente implica occuparsi del suo benessere in generale, realizzare un progetto di cura e riabilitativo nel senso più ampio, non strettamente prestazionale/specialistico e di tutela in merito ai bisogni clinici, ma fortemente integrato con le dimensioni sociali ed educative.

Abbiamo più volte portato questi temi in Regione e al Comune di Milano, sia come tavolo di coordinamento dei gestori di strutture della neuropsichiatria, sia attraverso le nostre organizzazioni di rappresentanza. Ci è sempre stata concessa una disponibilità al confronto, ma ad oggi non si sono concretizzati risultati.

Ci sono colleghi che hanno detto: se continua così, chiudiamo. Non è un ricatto: è una richiesta di aiuto».