Ragazzi con disturbi psichici: il prezzo pesante della pandemia

ragazza adolescenteSe ne parla davvero troppo poco, ma i ragazzi sono tra coloro che più stanno soffrendo “gli effetti collaterali” di questo stato continuo di emergenza. Chi lavora con loro lo vede e lo conferma.

Le scuole chiuse, tutte le attività extrascolastiche interrotte, i contatti sociali con i coetanei sono stati interrotti per mesi e anche ora sono limitati: tutto questo in un'età fragile, quella della crescita, lascia segni indelebili.

E li lascia ancora più pesanti su chi già prima soffriva di disturbi psichici.

A Lecco la cooperativa L'Arcobaleno si occupa anche di servizi nel campo della neuropsichiatria infantile e adolescenziale, con una comunità terapeutica – la comunità Kairos, a Nibionno – e con un'equipe di professionisti che lavorano in stretta collaborazione con la pediatria dell'ospedale di Lecco.

 

«Quando abbiamo iniziato il nostro lavoro in ospedale, qualche anno fa, i ragazzi che venivano ricoverati per motivi psichici avevano una media di 17 anni. Quest'anno abbiamo visto 35 ricoveri di ragazzini con una età media intorno ai 13/14 anni – racconta Erica Denti, della cooperativa L'Arcobaleno – Sono ragazzi diversi. C'è chi apparentemente non sembrava avere grandi problemi: bravi a scuola, capaci nelle attività sportive o nei loro hobby, buoni rapporti con gli amici, e c'è chi invece stava già conducendo una vita più ritirata e aveva fatiche relazionali più visibili. Tutti sono accomunati da un grande disagio interiore, emotivo, che da soli non riescono più a gestire».

Un malessere che si mostra con attacchi d'ansia o di panico. Ma chi arriva all'ospedale spesso porta i segni di autolesionismo o ha tentato il suicidio. Non sono pochi.

«Alcuni di questi ragazzi sono già in carico alla neuropsichiatria di Lecco, hanno un percorso di cura già delineato, con un'equipe multidisciplinare che li segue, e il ricovero arriva in un momento di crisi più grande rispetto al loro stato di fatica. In altri casi invece abbiamo visto dei ragazzini per la prima volta, e a partire da questo primo momento l'equipe multidisciplinare dell'ospedale, di cui i nostri educatori fanno parte, decide insieme alla famiglia e ovviamente al ragazzo come proseguire il percorso di cura».

Il lockdown ha amplificato delle fragilità preesistenti e ha creato ancora maggiori fatiche nel riuscire a gestire il proprio diventare grandi, in un'età critica come quella dell'adolescenza, in un periodo in cui sono mancate tante quotidianità e certezze.

Gli educatori della cooperativa L'Arcobaleno normalmente seguono i ragazzi in carico anche “sul territorio” e a casa loro: sono i servizi domiciliari.

«Inizialmente ci viene chiesta una osservazione della famiglia, quindi monitoriamo le dinamiche all'interno della famiglia e supportiamo il ragazzo nel mantenimento di un benessere psicofisico – spiega Erica. – In ultimo anche l'andamento scolastico è per noi una lente di ingrandimento rispetto a come sta, perché a volte alcuni risultati o profitti più bassi rispetto al suo solito sono già dei campanelli di allarme».

«Come tutti, durante il periodo di lockdown nel periodo marzo-maggio anche noi abbiamo dovuto ripensare il nostro servizio. Abbiamo cercato di mantenere tutte le relazioni da remoto, restando connessi con i ragazzi tramite telefoni e computer. Ma ci siamo resi conto che, soprattutto con i casi più critici dal punto di vista clinico, questo non era sufficiente, quindi dall'inizio dell'estate abbiamo ripreso a vederci di persona».

 

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