L'Arcobaleno per gli anziani: dai centri ai servizi a domicilio

infermiera di comunita«Il coronavirus ha cambiato tutto». Se non proprio tutto, ha cambiato molto nei servizi per gli anziani che la cooperativa L'Arcobaleno offre ogni giorno sul territorio del lecchese.

L'Arcobaleno ha oggi cinque centri diurni: Il Castello di Cesana Brianza, Le Querce di Mamre di Galbiate, Laser di Lecco, Corte Busca di Lomagna e il quinto, Maria Bambina di Bellusco, è gestito in collaborazione con la cooperativa Sociosfera.

Oltre a questi luoghi, che in parte accolgono anche anziani in residenzialità, offre servizi di assistenza domiciliare a chi ha bisogno di aiuto a casa.

 

Riorganizzazione degli spazi e un nuovo modo di stare vicini

I centri hanno riaperto le loro porte tra giugno e luglio con un protocollo per l'accesso e una revisione di tutti gli spazi a disposizione.

«In alcuni casi siamo riusciti a ricavare lo spazio per qualche posto aggiuntivo allestendo un piano in più, o prendendo in prestito un appartamento da altri progetti. Poi, all'interno abbiamo creato spazi separati con divisori, spostando armadi, creando postazioni fisse per garantire il distanziamento. Siamo consapevoli che il rischio zero non esiste – racconta Erica Colombo, responsabile dell'area anziani della cooperativa L'Arcobaleno – ma cerchiamo di abbassare il più possibile la probabilità».

Di spazi, separatori, tavoli distanziati se ne è parlato a lungo, per tutti, dai ristoranti alle scuole. L'impatto più grande del cambiamento però, quando si ha a che fare con persone fragili, è quello emotivo.
«Il lavoro con gli anziani è fatto di tanta vicinanza fisica, di intimità, di accudimento. È chiaro che elementi importanti come il tocco, una carezza, la vicinanza oggi non sono possibili, e i nostri operatori stanno ragionando molto, sperimentando, provando a inventare un modo diverso di relazione, che trasmetta il senso di cura e di vicinanza affettiva senza poter usare quella fisica».

Per comunicare l'accoglienza in un altro modo, si prova a valorizzare gli altri sensi: l'udito - «attraverso la musica, la voce, le parole» -, la vista - «cartelli, disegni, i video del volontario che ci canta una canzone o del fisioterapista che propone la lezione di ginnastica, che noi proiettiamo sulla smart tv».
Certo, l'uso degli strumenti multimediali, che in questi luoghi sono innovativi, stanno mostrando la loro utilità, ma non possono sostituire tutto: «ci manca la presenza fisica dei parenti, dei volontari, persino dei ragazzi delle scuole. Ci troviamo a dover ripensare non solo gli aspetti pratici, ma anche gli orientamenti che hanno guidato il nostro lavoro finora».

 

Non tutti gli anziani sono tornati

Nonostante questo, non tutte le persone che frequentavano a febbraio hanno potuto ricominciare.

«Tra chi ha incontrato il virus e chi ha avuto un peggioramento delle proprie patologie, sia fisiche che psichiche, in alcuni casi i familiari che li accudivano si sono trovate così stremati che hanno scelto il ricovero in una Rsa», racconta Erica.
Per molti anziani, che normalmente frequentavano un centro diurno ed erano stati improvvisamente costretti a chiudersi tra le mura di casa, una casa spesso piccola, non poter avere quel sostegno voleva dire inevitabilmente “andare indietro”.

«Molti dei nostri anziani che seguiamo hanno effettivamente avuto delle regressioni, sia dal punto di vista fisico, per il fatto che non hanno potuto muoversi, anche solo camminare un po', sia cognitivo, perché si sono trovati senza un luogo in cui hanno la possibilità di stare insieme ad altre persone, chiacchierare, fare attività insieme. A casa, a volte soli o con una sola persona, è stata inevitabilmente una battuta d'arresto».

Ma c'è anche chi non ha potuto rientrare perché oggi non può rispettare le misure di igiene e sicurezza che sono richieste: non riesce a portare la mascherina, o non è in grado di capire la necessità di mantenere un distanziamento fisico.

Come Piera, una novantina d'anni e una forma ormai grave di demenza senile. Erica la conosce da undici anni, quando ha iniziato a frequentare uno dei loro centri diurni. Vive in casa con un figlio e fino a febbraio il centro era una buona risorsa per lei durante la giornata, quando il figlio era al lavoro. Ma il lockdown ha fatto correre le cose in fretta. «Non è in grado di rispettare le regole, non tiene la mascherina, ci sono diversi problemi comportamentali: Piera non può, allo stato attuale, rientrare al centro senza mettere a rischio se stessa e gli altri – ci spiega Erica, – così abbiamo proposto di continuare a seguirla a domicilio».
Ad aiutare Piera ora ci sono una fisioterapista che le fa fare un po' di ginnastica una volta alla settimana, due operatrici che si occupano dell'igiene personale e della doccia e una infermiera che la tiene controllata una volta al mese, oltre alle necessità che si presentano.

Ma non solo le persone come Piera che hanno richiesto di rivedere la riorganizzazione dei servizi. C'è anche una questione di numeri e di spazi. «Banalmente, abbiamo dovuto ridurre i posti disponibili a volte del 30%, in altri casi, ad esempio nei centri di Galbiate e di Cesana Brianza, siamo scesi a meno della metà dei posti di prima».

 

Dai centri ai servizi a casa: il futuro è la domiciliarità

Tutti coloro che al momento non sono rientrati nei numeri sono stati iscritti in una sorta di lista d'attesa, ma usufruiscono già di tutti i servizi del centro, in modalità domiciliare.

La cooperativa L'Arcobaleno, da anni, ha attivato anche servizi domiciliari, come i custodi sociali o la figura dell' “Infermiera di comunità”, che fa da ponte tra l’area sociale, sociosanitaria e sanitaria: si occupa di controllare le condizioni di salute dell'anziano proprio a casa sua.
Dall'inizio del periodo di emergenza sanitaria i pazienti accedono con minore frequenza agli ambulatori e il lavoro dell'Infermiera di Comunità è, più che mai, di supporto ai cittadini. Fino a oggi ha seguito 41 persone nel territorio della Valsassina.

«Stiamo traendo tutti gli aspetti positivi, per quanto possibile, dalla situazione drammatica che stiamo vivendo - ragiona Stefania Buzzetti, concentrando le riflessioni di questo periodo in seo alla cooperativa L'Arcobaleno. - Il Covid ci ha costretto bruscamente a cambiare l'organizzazione del nostro lavoro, togliendoci tutti gli alibi che hanno frenato tutti gli operatori del sociale negli anni. 

Ci ha costretti ad andare nelle case delle persone, a entrare nei loro mondi, a vivere il territorio e la comunità circostante. I servizi si sono realmente aperti, non hanno aperto le porte, hanno portato pezzi di sé nelle case dei cittadini.
Ad ogni persona il suo pezzo, quello giusto, specifico e sartoriale. Questo dovrà essere l'assetto per il futuro.

I "servizi-castelli”, arroccati nelle proprie certezze, hanno imparato ad abbassare il ponte levatoio recandosi nelle case dei cittadini.
Questo è solo l'inizio, bisogna perseguire questa via anche nel futuro. Anche quando le normative nazionali, regionali, comunali non lo pretenderanno più.  E' questa l'innovazione che vogliamo perseguire.
Sarà certamente faticoso, ma il mondo cooperativo è sempre riuscito a essere antesiniano di cambiamenti radicali e vogliamo esserlo anche in questa occasione».

 

Per approfondire: leggi il report delle attività della cooperativa L'Arcobaleno post-Covid