VOCI DALLE COOPERATIVE - ALL'EPOCA DEL COVID. Nicolò racconta la casa dei ragazzi a Varese

2020 04 22 covid nicolò san luigi«Quando posso andare a casa?».

In un certo senso, Federico (il nome è di fantasia) è già chiuso in casa, come tutti i ragazzi in questo periodo. Solo che la casa dove vive al momento è molto particolare. È la Casa Sant'Antonio, comunità per minori gestita dalla cooperativa San Luigi a Varese.

Casa Sant'Antonio ha due sedi: una si trova in un ex oratorio, ha 10 posti e ha un campetto dove i ragazzi possono uscire. La seconda, aperta da qualche mese, è situata in un appartamento in centro città e ha 4 posti. I ragazzi accolti, dai 10 ai 18 anni, maschi e femmine, sono stati allontanati dalle famiglie in seguito a un decreto del Tribunale dei Minori, a causa di maltrattamento, abbandono scolastico o altri problemi di disagio del contesto in cui vivevano.

«Dal 3 marzo le comunità sono state isolate. Gli educatori limitano al minimo le possibilità di contagio attraverso un sistema di turni che è stato studiato apposta per garantire il minimo contatto sociale e periodi di isolamento – spiega Nicolò Bulgheroni, 38 anni, educatore alla Sant'Antonio. – Anche i ragazzi, che normalmente in alcuni casi potrebbero incontrare i genitori, in questo periodo comunicano con le famiglie solo su Skype, Whatsapp e a volte col telefono».

Per quel che si può, si cerca di garantire una routine e delle attività, anche se ovviamente non la si può chiamare normalità.

Si fa scuola a distanza anche qui, e per garantirla la cooperativa San Luigi ha trovato e messo a disposizione dei ragazzi nuovi computer per permettere a tutti di partecipare alle proprie videolezioni, che spesso sono in contemporanea.

Hanno anche festeggiato qualche compleanno: i ragazzi non hanno potuto avere invitati esterni, ma parenti, amici, operatori, hanno partecipato tutti virtualmente, “a distanza”. «Mentre purtroppo abbiamo dovuto saltare una delle feste preferite dei ragazzi: la grigliata di Pasqua. In questa situazione, le feste sono momenti delicati che mettono a dura prova la serenità dei ragazzi: dobbiamo supportarli, responsabilizzarli e farli divertire».

Eppure, il lungo periodo chiusi dentro si fa pesante. Sono in tanti ora a porre quella domanda: «Quando posso andare a casa?».

«I ragazzi sono sempre in comunità e sono sempre tutti insieme – racconta Nicolò. Gli educatori hanno il compito costante e intensivo di organizzare attività ludiche e aggregative, di garantire il sostegno scolastico e la somministrazione di terapie e di gestire domande e momenti di crisi. – Ma si sono già già verificati diversi momenti di tensione: ad esempio, per i ragazzi dover uscire da casa con guanti e mascherine rappresenta già un piccolo trauma».

È diverso anche il clima nelle due case della comunità: «Il lavoro più difficile è quello con la comunità da quattro ragazzi: il gruppo è di nuova formazione, la comunità è stata aperta a ottobre, i ragazzi sono chiusi in appartamento senza sbocco all’aperto e c’è un solo educatore. La comunità da dieci è invece un gruppo coeso e affiatato, gli ultimi sono entrati a settembre, gli altri sono in comunità da più tempo, già da un paio d’anni. La situazione è rodata».

Le difficoltà personali, in base alle storie di ciascuno , sono tante. «Un ragazzo prima del virus aveva avuto la possibilità di vedere la madre più ore alla settimana con l’obiettivo di trasferirsi da lei a tempo pieno. Questo percorso è stato bruscamente interrotto: attualmente il ragazzo può vedere la madre solo con una videochiamata».

Un altro ragazzo era appena entrato in comunità ed era in attesa della definizione della terapia neuropsichiatrica: con qualche difficoltà, grazie alla collaborazione di tutti, la neuropsichiatra è riuscita a fare il colloquio e formulare la terapia da remoto.

«Dobbiamo anche dire che la sicurezza sanitaria, purtroppo, non ci ha permesso di seguire una delle nostre ragazze come avremmo dovuto – conclude con rammarico Nicolò – Lei è stata ricoverata in neuropsichiatria e non ci è stato permesso di starle accanto durante il ricovero. Per fortuna un Comune limitrofo ha messo a disposizione alcuni volontari per darle assistenza e conforto».

 

 

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