VOCI DALLE COOPERATIVE - ALL'EPOCA DEL COVID. Con la Detto Fatto alle docce comunali

2020 04 03 covid doccepubbliche bis«Paura? Io ho paura di rimanere senza soldi, prima che di prendere il virus! - Ha 61 anni Mimmo, e a casa una moglie disoccupata. - Questo lavoro è la nostra unica fonte di guadagno, e non posso perderlo».

In realtà, lo tiene da quindici anni, questo lavoro. Si occupa delle pulizie nei due centri di docce comunali per la cooperativa Detto Fatto.

In questo periodo, solo uno dei due centri è rimasto aperto: chiuso quello in centro città, in zona corso Sempione, perché la struttura non permetteva di assicurare il distanziamento sociale e le procedure di sicurezza, è rimasto aperto solo quello di Baggio.
Anche degli operatori che le gestiscono, sono al lavoro in nove: alcuni sono stati esonerati perché hanno patologie sanitarie e fragilità fisiche.

«Le docce comunali sono considerate un servizio a bassissima soglia, vuol dire che l'accesso è così semplice che riesce a intercettare persone che vivono in uno stato di disagio così grande da non arrivare a nessun altro aiuto, a parte le mense – spiega Gigi Saracino, responsabile del servizio per la Detto Fatto. – In fondo, rispondono a uno dei bisogni più basilari: dopo aver bisogno di mangiare, queste persone hanno bisogno di lavarsi».

Chi sono “queste persone”, oggi?

«Per la maggior parte si tratta di senza dimora, ma c'è anche una parte di persone che vengono qui perché non hanno l'acqua calda in casa, perché non riescono a pagare la bolletta, o perché si è rotta la caldaia e non possono permettersi di aggiustarla – racconta Gigi. – C'è di tutto: ci sono giovani, persone di mezza età e anziani. Quelli di mezza età o gli stranieri solitamente hanno perso il lavoro e non riescono a trovarne un altro, qualche anziano senza acqua calda in casa. Nell'ultimo anno sono aumentati i giovani, stranieri, che si sono trovati espulsi dai centri di accoglienza a causa del decreto sicurezza e sono finiti in strada».

E dalla strada alla doccia pubblica il passo è brevissimo.

Le docce pubbliche del Comune di Milano, tenute aperte e funzionanti dalla Detto Fatto, erogano 90mila docce all'anno. «Per quante persone è difficile dirlo. Proprio per permettere a tutti di usufruirne, chiediamo un documento di identità ma è una procedura molto light. Per dire, accettiamo anche la tessera del supermercato – spiega Gigi – Abbiamo piuttosto iniziato un sistema di schedatura fotografica. Dallo scorso settembre siamo arrivati a 3mila utenti. Ora lo abbiamo sospeso, ma prevediamo di arrivare a un totale di 5mila utenti registrati».

Non tutti però, ora, stanno frequentando le docce.

«Normalmente lavoro alle docce di via Pucci, quelle vicino alla Rai, e contiamo tra le 200 e le 250 persone al giorno. Qui ne stiamo vedendo una cinquantina, perché siamo in periferia ed è un posto molto scomodo da raggiungere – racconta Mimmo – C'è chi viene un giorno sì e uno no invece che tutti i giorni. Ma c'è anche chi lo trova un modo per passare del tempo, perché tra venire e tornare in città, con i mezzi, servono davvero le ore».

Il servizio comunale, qui, conta dieci box doccia, che al momento vengono utilizzati uno sì e uno no, alternativamente. «Un po' per garantire la distanza fisica tra gli utenti, un po' perché mentre vengono usati 5 box, noi ne approfittiamo per disinfettare gli altri 5, e così via», spiega Gigi.

«A volte fuori si forma la fila. Dobbiamo assicurarci che anche in fila mantengano le distanze, e diamo loro i numerini per accedere, come dal salumiere – racconta ancora Mimmo. – Poi, prima di entrare, devono disinfettare le mani. Anche noi siamo protetti: abbiamo guanti monouso, gel disinfettanti mani, mascherine ogni giorno e occhiali antischizzo».

Poi, a ogni inizio e fine di turno, hanno a disposizione lavatrice e asciugatrice per lavare e disinfettare i vestiti da lavoro che restano qui, mentre si cambiano per tornare a casa.

Da qualche giorno hanno anche un supporto medico per tre giorni a settimana: hanno allestito una piccola infermeria, presidiata due giorni da un medico volontario Caritas e il sabato da un medico e un infermiere della Croce Rossa.

«Abbiamo avuto anche una mano da due medici di Emergency, che hanno approvato la procedura di lavoro. Uno di loro ha gestito un focolaio di Ebola in Africa, quindi è stato un buon metro di giudizio – sorride Gigi, che sottolinea l'importanza di un presidio sanitario, e vorrebbe renderlo stabile anche finita l'emergenza. - L'utenza che arriva alla docce spesso sfugge a tutti i canali: non va nei dormitori, stanno per strada e ormai hanno rinunciato a qualsiasi richiesta di aiuto. È chiaro che c'è qualche persona che non sta bene, ma d'altronde avere persone con la febbre tra i senza dimora non è certo una novità. L'importante è che possiamo intercettare un bisogno anche sanitario, qualunque esso sia. È per questo che bisogna andare avanti anche dopo».

Per ora, era importante partire.

 dona

Come puoi leggere nelle nostre interviste, la maggior parte dei nostri operatori è al lavoro. In condizioni ancora più difficili. Nonostante la paura.
Lo facciamo perché crediamo che le persone di cui ci prendiamo cura abitualmente abbiano ancora più bisogno di noi, in questo periodo.

Ma anche noi abbiamo bisogno: questa situazione comporta una riorganizzazione continua, nuove spese, corsi di formazione, diversi strumenti.

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