Fra Noi in famiglia. Le storie delle famiglie che hanno accolto un migrante

 

Vedi i video delle storie delle famiglie con le voci e i racconti dei protagonisti

 

Dramane e Giacomo

Dramane e Giacomo hanno rispettivamente 26 e 23 anni. Il primo è nato in Mali, il secondo in Italia. Al momento vivono insieme in casa dei genitori di Giacomo, Enza e Paolo, che hanno scelto di aderire alla proposta della cooperativa Farsi Prossimo e accogliere in casa propria un rifugiato. Per loro non era la prima volta che accoglievano qualcuno: avevano alle spalle diverse esperienze di affido.

«Mia mamma poi, che fa l'insegnante, ha portato in casa spesso persone provenienti da varie parti dal mondo, grazie ai progetti internazionali a cui la scuola ha aderito. Insomma, sono cresciuto abituato alla diversità – racconta Giacomo. - Nonostante questo, quando è arrivato Dramane lo trattavo come se fosse un po' scemo: gli parlavo lentamente, gli spiegavo tutto più volte. Ma ci ho messo poco a rendermi conto che invece l'italiano lo sapeva bene ed è un ragazzo intelligente».

Difetti? «In lui non ne vedo. Però una cosa gliela posso rinfacciare: quella volta che mi ha chiuso fuori casa perché aveva lasciato le chiavi nella toppa».

Dramane, che in Mali studiava biologia, lavora oggi come magazziniere in una catena di supermercati, «ma guadagno abbastanza per permettermi una casa mia. Mi vedo autonomo presto», racconta lui.

Giacomo e Dramane escono spesso insieme: «Mi ha portato a un concerto, i suoi amici italiani sono diventati i miei. Grazie a loro conosco di più l'Italia e a loro racconto la mia cultura. Questo è per me integrazione: conoscersi per vivere insieme».

Anche nelle piccole cose. «Quando ha iniziato a lavorare, Dramane si preparava “la schiscetta”, il pranzo al sacco da portarsi al lavoro. Io non l'avevo mai fatto, e questa è una cosa che ho imparato a fare con lui. Ora la sera cuciniamo insieme e ci prepariamo il pranzo per il giorno dopo».

 

I Ghidoli e i Tourè

Laura e Claudio Ghidoli hanno una famiglia molto numerosa, che conta sei figli e diciotto nipoti. Ma quando il cuore è grande, c'è sempre spazio in più. Quando sentirono l'appello di Papa Francesco che invitava ad aprire le proprie porte, le proprie case per accogliere i migranti che avevano lasciato la loro terra in cerca di un futuro, erano stati molto colpiti.

È così che a casa loro sono arrivati due figli in più. Perché è così che considerano Marie e Mohamed, rifugiati dalla Costa d'Avorio. E anche una nuova nipotina: la piccola Minata.

«Io penso che le persone che vengono da lontano vadano accolte, semplicemente perché sono persone, hanno dei desideri, come noi. Sono persone come noi», così dice della loro esperienza Sofia, 9 anni, una delle nipoti di Laura e Claudio.

Claudio mostra un calendario dell'anno in corso, pieno delle loro fotografie. «Ogni anno i nostri figli ci regalano un calendario con le foto di famiglia dell'anno. Noi abbiamo chiesto che sul mese di ottobre ci fossero anche Marie, Mohamed e Minata, perché sono entrati nella nostra famiglia proprio a ottobre».
Oggi la famiglia Tourè lavorano e vivono autonomamente in un appartamento loro, ma è rimasta una forte amicizia tra loro. Claudio conclude: «C'è un ultimo miglio, un ultimo pezzo di chi viene accolto che non può che essere un'esperienza di appartenenza e di amicizia. Senza questo, l'integrazione sono solo cose tecniche».

 

 

Queste sono due delle famiglie che hanno raccontato la loro esperienza nell'evento organizzato da Consorzio Farsi Prossimo sabato 1 dicembre al Mudec di Milano "Io apro la mia porta. Fra noi in famiglia: storie di integrazione".

Persone che, alla provocazione “i migranti accoglili a casa tua!”, hanno davvero aperto la porta di casa, messo a disposizione una stanza, il loro tempo, messo in gioco se stessi e le proprie famiglie per accompagnare, per un periodo, ragazzi, uomini e donne a essere autonomi nella loro vita in Italia.

L'incontro è stato uno degli eventi conclusivi del progetto FAMI “Fra Noi: Rete di accoglienza per un’autonomia possibile” (www.franoi.org).

Il progetto, finanziato dal Ministero dell’Interno attraverso il Fondo Asilo Migrazione e Integrazione 2014-2010 (FAMI) dell’Unione Europea, è finalizzato alla sperimentazione di interventi volti all’integrazione stabile dei Titolari di Protezione Internazionale. Consorzio Farsi Prossimo è capofila di una rete di 43 enti che lavorano in 10 regioni italiane e mira a creare un sistema di azioni e di alleanze fra enti profit e non profit per sviluppare progetti e pratiche per l'integrazione stabile dei titolari di permesso internazionale.

Chi esce dal periodo di accoglienza degli SPRAR (il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) non ha ancora acquisito, nella maggior parte dei casi, quelle competenze e quei legami che gli permetterebbero di iniziare una vita autonoma, produttiva ed inserita nel tessuto sociale italiano. Il progetto Fra Noi vuole accompagnare alla reale autonomia lavorando sugli aspetti del lavoro, della casa, dell'accompagnamento familiare.