Mi chiamo Godspower. Sono nigeriano e ho 24 anni.
Io e la mia famiglia siamo cristiani. Un giorno, mentre eravamo alla funzione alla chiesa pentecostale che frequentavamo, c'è stato un attentato. Mio padre è rimasto ucciso.
La situazione, per noi cristiani, è molto difficile laggiù. Decisi di partire: non volevo morire in quella che è una vera e propria persecuzione verso i cristiani.
Grazie a dei trafficanti, arrivai in Libia. Ragazzi giovani e forti come me trovavano lavoro facilmente, allora: io lo trovai in un'officina come meccanico. Lì feci amicizia con un altro ragazzo nigeriano, Osas.
Abbiamo vissuto in Libia anche durante i primi anni della guerra, dopo la caduta di Gheddafi, ma il clima è molto difficile per gli africani neri: c'è un forte razzismo dei libici nei nostri confronti. Decidemmo insieme di partire per l'Europa. Sapevamo di altri ragazzi che, in Italia, avevano ottenuto un permesso di soggiorno e anche la possibilità di lavorare.
Pagammo dei trafficanti, e salimmo una notte su una vecchia e malandata imbarcazione. Era stracolma e stava a galla a malapena.
Una volta sbarcato, gli operatori italiani ci hanno preso le impronte digitali e fatto delle foto segnaletiche. Ci hanno detto che l'unico modo per restare legalmente in Italia era fare domanda di asilo politico.
Io e il mio amico l'abbiamo fatta, a Milano, dove ci avevano mandato.
Dopo qualche mese lui è partito, voleva andare in Francia. Non l'ho più visto. Io ho aspettato la risposta alla mia domanda.
Poche settimane fa mi è arrivato il diniego e ho perso il permesso di soggiorno.
Ora, con l'aiuto di un avvocato, ho fatto ricorso, e aspetto la nuova risposta.
Questa storia è stata raccolta nell'ambito del progetto Sconfinati promosso da Caritas Ambrosiana.
È stata scritta a partire da storie vere di persone che hanno vissuto nelle nostre strutture, ascoltate e raccolte dagli operatori delle nostre cooperative.